Ho
quasi trent’anni e sono fuori dalla mia età. Si, mi sento fuori da tutti i
canoni che la società moderna ha imposto alle persone della mia età. Forse
questo è dovuto ad una confusione mentale, ad una educazione imprecisa, o ad una ribellione pacifica e
solitaria verso le prescrizioni di un’istituzione a cui non aderisco. Sono
immaturo? Non credo proprio. Affronto i problemi della vita come una persona
matura e seria, faccio delle scelte ed accetto le conseguenze, affronto le mie
paure e cerco di superarle, mi integro e mi faccio integrare.
Diciamo
anche che dalle mie parti, tutti quelli che non sono sposati o non hanno un
lavoro o stanno a casa con i genitori, vengono chiamati “fijjoli”, come a
rimarcare il loro essere giovani, impreparati alla vita, acerbi di esperienze,
e quindi paragonabili a dei bambini, in un certo senso. È un’abitudine che però
porta i genitori a vederti sempre troppo piccolo per fare o sapere determinate
cose, e ti porta a sentirti spesso impreparato ad affrontare gli eventi
puntuali della vita: la scelta delle scuole superiori, il militare (per chi
l’ha fatto), la scelta dell’università, il voto al referendum, alle elezioni
comunali; ed ancora più impreparato agli eventi casuali ed inaspettati: la
prima cotta, il primo bacio, il primo lavoro, la prima perdita…
Il
mio primo voto, due mesi dopo i 18 anni, è stato per un referendum. Non ricordo
cosa trattasse, ma non ne capivo niente e mi sentivo uno stupido ad andare a
votare senza sapere per cosa. Sprecare il mio voto! Mi informai, lessi, chiesi,
e presi una decisione. Beh votai e piegai tutte e sei le schede insieme. Non vi
dico che risate della commissione. Ed a ripensarci adesso, viene da ridere
anche a me! Ero un incompetente, perché non avevo nessun tipo di esperienza di
quel tipo, nemmeno “passiva”. Non avevo mai seguito una votazione, uno
scrutinio, niente di niente. La politica non era una cosa per i fijjoli. Ma non c’è preparazione per
passare da fijjoli ad adulti.
Il
passaggio tra infanzia ed adolescenza è abbastanza graduale: smetti con alcuni
giochi, smetti con alcuni cartoni animati, cominci ad interessarti alle “cose
dei grandi” e ti cominciano a dare dei compiti di “responsabilità” tipo
guardare il fratellino, andare a comprare il pane, ti vestono diversamente
perché il tuo corpo cambia.
Tra
l’adolescenza e l’età adulta, lo stacco invece è netto. C’è qualcosa che ti fa
cambiare. Non in tutto, no. Ti fa maturare in quelle cose che ti rendono
adulto. Magari non smetti di fare le partite di calcetto con gli amici, o
continui con i videogiochi, però ti senti diverso dentro. Senti che non sei più
un fijjolu.
Il
gioco per me non è sinonimo di infantilità, anzi. Vedo nel gioco una componente
essenziale per la vita dell’uomo. A tutti piace giocare, solo che tanti non lo
ammettono o non se ne rendono conto. Mio padre per hobby coltiva il suo orto,
ne aveva uno in montagna, ne ha comprato un altro più vicino a casa. Lavorare
nell’orto non è facile: è faticoso. Ma lui si diverte, si spensiera quando è nell’orto.
Mia
madre? Decoupage, chiacchierno, ferri da lana e macchina da cucire. Certo, loro
diranno che sono interessi vantaggiosi perché ho sempre frutta e verdura fresca
a casa, perché non devo andare dal sarto per un orlo. Ma non mi venite a dire
che lo fanno solo per dovere!
Ho
parenti che vanno a caccia e a pesca. Non è un bel passatempo? Ti stai in mezzo
alle “fresche frasche” ad aspettare qualche quaglia che passa.
Ed
a Natale? Tutti con le carte in mano, o a metter fagioli sulle caselle della
tombola.
Siamo
tutti dei giocatori, è solo che non lo volete ammettere perché la società – la
vostra società – vi ha convinti che il gioco è per i bambini.
Della
mia infanzia mi ricordo poco e niente. Davvero. Sono una persona distratta, non
ricordo cosa ho mangiato a pranzo, e sono passate solo tre ore. Forse è per
questo che il mio interesse verso il gioco è grande. Il mio lato ludico non ha
ancora trovato sazio probabilmente. Gioco di ruolo cartaceo e dal vivo, faccio
modellismo, fai da te, gioco ai videogames, faccio giochi di strategia… e
sicuramente c’è altro che adesso non mi sovviene.
Per
questa mia indole, alcuni familiari mi considerano una persona immatura. Credo invece
di essere una di quelle persone che hanno capito che non è il gioco, il
divertimento, a determinare se e quanto una persona è adulta. La vita, le
esperienze, le persone che ho conosciuto mi hanno fatto diventare adulto, anche
attraverso il gioco. L’interazione, la comunicazione mi ha fatto crescere e
conoscere. Confrontarsi, scontrarsi ed incontrarsi mi ha fatto maturare e
diventare quello che sono oggi. Non sono maturo come la società moderna mi
vuole, non sono il figlio perfetto, il principe azzurro forte e dolce, non sono
nessuno stereotipo che ci hanno tracannato a suon di favole, film, rimproveri e
ordini. No, non lo sono e per niente al mondo vorrei esserlo.
Per
me, essere maturo vuol dire essere cosciente della propria vita, capire cosa
sta succedendo, scegliere, fare, credere. Svegliarsi, passando dal torpore di
una vita vissuta dall’esterno alla consapevolezza di essere protagonisti di
quella vita, non semplici spettatori, è il primo – fondamentale - passo per la
maturità dell’uomo.
Chi
può stabilire se io sia più maturo di un altro? I dettami della civiltà
moderna? Le tradizioni? Il perbenismo? No, non credo. Sono i comportamenti di
ogni uomo a delineare la sua propria forma di maturità.
La
società ci vuole rinchiudere in gabbie di convenzioni e prototipi che ormai ci
stanno troppo strette. E prima che la mia voliera esploda, evado verso un albero
pieno di rami, pieno di scelte e opportunità.
Con
la maturità “tradizionale”, l’uomo spesso perde la voglia di fare scelte e
mettersi in discussione. Si arriva ad un punto di stallo, in cui si ha magari
un lavoro od una condizione lavorativa abituale, una famiglia (non importa se
la si trascura, l’importante è averla), qualche amico per condividere i vizi e
i vezzi e stop, la vita è bella che pronta, da consumarsi preferibilmente entro
i 35 anni di contributi e poi altri 20 o 30 anni di pensione.
Sono
fuori dalla mia età perché rifiuto questa condizione e la rifuggirò il più
possibile. Sarà il momento in cui il mio Io entrerà in coma, e vedrò di nuovo
passare davanti la mia vita senza accorgermi che sono il protagonista e non uno
spettatore. Io ho scelto di scegliere.