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lunedì 24 ottobre 2011

La statale della morte


Click. Zzzzz…
<<Prova…prova…bene, posso cominciare. Finalmente ho scoperto tutto. Ho capito cosa e come succedono gli incidenti sulla statale 106, soprannominata “la statale della morte”. Dopo varie ed attente analisi ho trovato la soluzione a questo diabolico enigma. Si: diabolico, perché non si può definire in altro modo. Ma partiamo dall’inizio, da quel primo giorno di lavori.
Stiamo parlando della fine degli anni ’20. Tramite controlli incrociati tra documenti dell’epoca, alberi genealogici, articoli di giornale e ricerche private, ho scoperto che gli ingegneri e alcuni appaltatori, erano coinvolti in un’organizzazione di tipo satanista e cabalista e dopo l’inizio dei lavori alcuni sono stati arrestati e altri sono scomparsi in circostanze misteriose. Già basterebbe questo per rendere la storia raccapricciante, ma purtroppo ci sono anche ottant’anni di incidenti mortali e migliaia di vittime che rendono il tutto mostruoso.
Guardiamo la forma che questa strada statale disegna sulla cartina: è un grande “esse” che si estende per 491 kilometri… se non consideriamo i tratti di strade interne ai grossi centri abitati: se sommiamo anche questi arriviamo a circa 666 kilometri. Quindi è una strada a forma di “esse” che si estende per 666 kilometri. Una coincidenza o qualcuno l’ha progettata per dedicarla a Satana?
Questa potrebbe essere solo una delle solite teorie cabalistiche basate su simboli e numeri, che possono convincere i  creduloni. Ma io ho trovato altro per convincervi.
Studiando la frequenza con cui avvengono gli incidenti, i luoghi, le date e il numero di automobili coinvolte, ho trovato una funzione che coincide perfettamente con i dati raccolti.
Vi dice niente il nome Giuseppe Vitali? Beh a me dice tanto. Ho studiato le sue teorie all’università e sono rimasto affascinato dai suoi scritti. C’ho fatto su una tesi!
Una volta mi sono imbattuto su un grafico: una funzione chiamata “Scala diabolica”. Quale sorpresa più grande scoprire un’applicazione di quella demoniaca funzione.
Vitali parte dagli insiemi di Cantor e definisce… beh queste spiegazioni le troverete nei miei appunti, questa è solo una registrazione, in caso mi succedesse qualcosa. Tanto per capirci, il grafico della “Scala diabolica” è appunto simile ad una scala, ed aumenta il numero di gradini in funzione alla base dell’insieme di Cantor che stiamo considerando.
Ok, basta paroloni. Prendiamo in esempio Pacman, la pallina dei videogiochi che si mangia i puntini sullo schermo. Questo Pacman  si mangia tutti i punti dell’insieme di Cantor che stiamo considerando, diventando più grosso ad ogni punto inserito. La funzione ci restituisce una versione grafica dell’aumento di massa di questo Pacman.
Per quel che concerne i miei calcoli, l’insieme di Cantor considerato è formato dalle vittime degli incidenti, la base è data dall’ultimo numero dell’anno, il giorno e il kilometro indicano i punti su ascissa e ordinata.
Dopo ottant’anni di massacri su questa statale, il nostro caro bel Pacman è diventato bello grosso.
Adesso, mentre registro questo nastro, sono proprio sulla Statale 106, al kilometro 35 più o meno. Qui ci sono stati davvero tanti incidenti, è uno dei punti critici della funzione. Se i miei calcoli sono giusti, ci sarà un incidente proprio qui, oggi.
Ho montato la videocamera sul cruscotto e sto andando in direzione Reggio Calabria. Ho controllato la mia automobile proprio ieri. Non ha nessun problema. Io sono astemio, non ho preso droghe o altro che mi possa offuscare i sensi. Il tempo è ottimo: la strada è asciutta, il vento è lieve il cielo è sgombro.
Sono le 14.47. Secondo i miei calcoli, l’orario ha una relazione con i logaritmi… beh sto ricominciando a fare il professore. L’orario del prossimo incidente dovrebbe essere le 15.00, i calcoli sono tutti tra i miei appunti.
Intanto che guido, voglio chiarire qual è la mia teoria in merito. Gli ingegneri che hanno progettato la SS 106 erano satanisti, forse anche massoni. Hanno fatto in modo che questa strada fosse un tributo a Satana e forse qualcosa di più. Una sorta di portale o richiamo. Sfruttando una funzione sconosciuta ai più, scoperta da Vitali proprio in quegli anni, usano questa statale come un rito di evocazione. Gli automobilisti stessi, ignari di tutto, originano questo portale sacrificando la loro vita nel rituale.
Tutto questo per pascere un demonio che arriverà tra circa vent’anni a raggiungere l’unità, il massimo valore consentito dalla funzione. Non oso pensare a cosa potrebbe capitare quel giorno.
Sono le 14.58, tra pochi secondi succederà qualcosa ed io sarò qui, fermo su questa piazzuola a filmare il tutto.
Ecco che arriva una macchina, una berlina nera in direzione Reggio. E dall’altra parte un furgone procede quasi in mezzo alla strada. Lo sapevo, ecco l’incidente! Potrei fermarli, ma la mia tesi sarebbe confutata e dovrei aspettare ancora per confermarla. No, mi serve un morto in questo incidente, solo uno. Se la mia tesi sarà confermata, allora tutti mi prenderanno in considerazione, tutto il mondo saprà chi sono e cosa ho scoperto. Salverò l’umanità da Satana in persona! Questo è il mio giorno.
I due mezzi si stanno avvicinando. Ma… che succede? Il furgone ha svoltato in una traversa privata. La berlina è libera di passare senza pericoli. Non è possibile, non posso aver sbagliato. Sono 4 anni che dedico la mia vita solo a questo momento. No, no, no, no…
Un momento… ecco… eccolo… lo vedo: è lui!!! È comparso in mezzo alla strada. È incredibile, non mi sembra vero. È così che causa gli incidenti: compare all’improvviso per  distrarre i guidatori e causarne la morte. È maestoso: la sua apertura alare copre tutta la strada. Mi guarda. Si è reso conto che questa volta c’è uno spettatore esterno. Mi… mi chiama… non capisco… devo andare, devo andare da lui, devo attraversare la strada, devo… Nooooo!!!!>>
Zzzzzzz. Click.






Fonti sulla scala diabolica www.batmath.it

martedì 18 ottobre 2011

CLERKS - Episodio V


Reparto elettrodomestici da incasso
“Buongiorno, mi scusi… mi servirebbe un forno ad incastro.”
“Salve. Intende forse un forno ad incasso? Venga, le faccio vedere quelli che abbiamo.”
“Si, si: quelli la, bravo.”
“Abbiamo un forno in offerta che è davvero eccezionale. È un forno della *****, multifunzione, classe A, a sole 349 euro.”
“Ah questo, si, si, mi piace. E quanto costa?”
“349 euro, signora. È un forno multifunzione in classe A.”
“Si, si, capisco…349 euro…si…Ma è ventilato?”
“Certo signora: è un forno multifunzione!”
“E che categoria è? Categoria A?”
“Si, è in classe A.”
“Si, si, questo volevo io… ma è ad incastro? Devo portare le misure?”
“Non serve: le misure sono standard, sono tutte uguali.”
“Si ma la mia cucina ha trent’anni ed è fuori squadro.”
“Non centra questo, non centra questo. Non si preoccupi.”
“Vabbè, prendo questo allora. Ma quanto costa?”
“Sempre 349 euro, negli ultimi due minuti non è cambiato di prezzo.”

Cassa
“La signora paga un forno *****, quello che è in offerta. Vado ad imballarlo.”
“Certo. Signora lei paga 349 euro.”
“Ma come, non me lo fate lo sconto? Nemmeno i 49 euro mi cacciate?”
“49 euro di sconto signora? No, guardi: il forno è già in offerta. Mi dispiace.”
“Vabbè, lasciamo stare: se volevate, potevate. Ma ha la garanzia?”
“Certo, è garantito per due anni. Deve conservare lo scontrino.”
“E datemelo così lo conservo qua nel portafogli altrimenti lo perdo.”
“Signora, prima dovrebbe pagare. Sono 349 euro.”
“Ma tutto in una volta? Non vi posso lasciare un acconto e poi ve lo pago tra un mese?”
“Signora, non è possibile. Al massimo possiamo fare una finanziaria.”
“Si, facciamo la finanziaria che già mi conoscono: mi mandano sempre scartoffie a casa,per i  prestiti. Mi volevano dare cinque mila euro: e che li voglio io? No, no, no.”
“Mi dia i documenti che faccio le fotocopie, così inseriamo la pratica. Un attimino… ecco, questi sono i suoi documenti.”
“Già fatto? Bene, arrivederci.”
“Signora, dove va? Ho solo fatto le fotocopie.”
“Pensavo che era tutto fatto. Ma poi mi arrivano a casa i bollettini?”
“Certo, arrivano tutti insieme e poi lei va a pagarli ogni mese.”
“Si, ogni mese: quando posso! Tanto se faccio ritardo non dicono niente. Forse ho ancora qualche bollettino da pagare dell’ultima finanziaria che ho fatto.”
“Signora mi dispiace, ma la pratica è stata rifiutata.”
“E come mai?! È impossibile!”
“Signora se lei paga in ritardo è normale che poi non le danno i finanziamenti.”
“Ma che dice?! Ma quale ritardo: a loro non gli servono i soldi, a me si.”
“Come vuole lei signora. Col forno che dobbiamo fare, lo paga in contanti? Consideri che è l’ultimo pezzo.”
“Si, si. Vado a casa a prendere i soldi. Me lo metta di lato che ora torno.”
“Guardi, sono un tipo tradizionalista: lo metto solo davanti o al massimo dietro. Di lato mai.”
“Allora me lo metta di dietro, così non lo vedono. Vengo più tardi.”
“Ah, ah, ah va bene signora! A dopo. Ah, ah, ah.”

Cassa
“(Ecco che arriva la stordita di sta mattina.)”
“Sono tornata per il forno.”
“Salve signora. Ecco qua, glielo abbiamo messo di dietro. Paga 349 euro.”
“Vabbè vi do 300 altrimenti devo cambiare 500. Non vale la pena che me li scambiate, sennò poi me li spendo.”
“Signora questo non è il mercante in fiera: chi glielo dice al titolare sta sera che mi mancano cinquanta euro dalla cassa?”
“Mamma mia, quanto siete tirchio però! Non vengo più a comprare qua. Ecco, mi dovete fare scambiare i soldi grossi. Poi non mi regolo e me li spendo tutti.”
“Ecco il resto signora. Conservi lo scontrino per la garanzia. Vale due anni.”
“Devo tenere lo scontrino?”
“Si, signora, lo conservi. In caso di problemi si rivolga al centro assistenza.”
“E per quanto vale la garanzia?”
“Per due anni signora.”
“E lo devo portare qua?”
“Per due anni, il centro assistenza viene a casa vostra gratuitamente.”
“Ma tutti i giorni oppure ogni tanto? E se vengono quando io esco? Non è meglio che li chiamo io quando devono venire?”
“(Incredibile: è proprio stordita! Allora mi "inzuppo il pane"!) No, signora. Quelli vengono quando vogliono loro. Controllano il forno. Gli dovete cucinare qualcosa per vedere se è tutto a posto. E se cucinate bene vengono spesso!”
“Uh Madonnina bella, solo questa ci mancava. A me maritu ‘nci ‘nchiananu i cincu minuti! Me ne vado, speriamo che non vengono oggi che non ho nemmeno le uova per fare una ciabella. Arrivederci!”
“Arrivederci, signora. E grazie, grazie davvero! Ah, ah, ah.”

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venerdì 23 settembre 2011

Fuori dalla mia età

Oggi son un po' più serio del solito, per quanto considerarmi "serio" fa ridere anche me. Ho scritto di getto, dopo una lettura molto interessante. Non il solito racconto, ma una presa di coscienza: da qui parte la maturità.


Ho quasi trent’anni e sono fuori dalla mia età. Si, mi sento fuori da tutti i canoni che la società moderna ha imposto alle persone della mia età. Forse questo è dovuto ad una confusione mentale, ad una educazione  imprecisa, o ad una ribellione pacifica e solitaria verso le prescrizioni di un’istituzione a cui non aderisco. Sono immaturo? Non credo proprio. Affronto i problemi della vita come una persona matura e seria, faccio delle scelte ed accetto le conseguenze, affronto le mie paure e cerco di superarle, mi integro e mi faccio integrare.
Diciamo anche che dalle mie parti, tutti quelli che non sono sposati o non hanno un lavoro o stanno a casa con i genitori, vengono chiamati “fijjoli”, come a rimarcare il loro essere giovani, impreparati alla vita, acerbi di esperienze, e quindi paragonabili a dei bambini, in un certo senso. È un’abitudine che però porta i genitori a vederti sempre troppo piccolo per fare o sapere determinate cose, e ti porta a sentirti spesso impreparato ad affrontare gli eventi puntuali della vita: la scelta delle scuole superiori, il militare (per chi l’ha fatto), la scelta dell’università, il voto al referendum, alle elezioni comunali; ed ancora più impreparato agli eventi casuali ed inaspettati: la prima cotta, il primo bacio, il primo lavoro, la prima perdita…
Il mio primo voto, due mesi dopo i 18 anni, è stato per un referendum. Non ricordo cosa trattasse, ma non ne capivo niente e mi sentivo uno stupido ad andare a votare senza sapere per cosa. Sprecare il mio voto! Mi informai, lessi, chiesi, e presi una decisione. Beh votai e piegai tutte e sei le schede insieme. Non vi dico che risate della commissione. Ed a ripensarci adesso, viene da ridere anche a me! Ero un incompetente, perché non avevo nessun tipo di esperienza di quel tipo, nemmeno “passiva”. Non avevo mai seguito una votazione, uno scrutinio, niente di niente. La politica non era una cosa per i fijjoli. Ma non c’è preparazione per passare da fijjoli ad adulti.
Il passaggio tra infanzia ed adolescenza è abbastanza graduale: smetti con alcuni giochi, smetti con alcuni cartoni animati, cominci ad interessarti alle “cose dei grandi” e ti cominciano a dare dei compiti di “responsabilità” tipo guardare il fratellino, andare a comprare il pane, ti vestono diversamente perché il tuo corpo cambia.
Tra l’adolescenza e l’età adulta, lo stacco invece è netto. C’è qualcosa che ti fa cambiare. Non in tutto, no. Ti fa maturare in quelle cose che ti rendono adulto. Magari non smetti di fare le partite di calcetto con gli amici, o continui con i videogiochi, però ti senti diverso dentro. Senti che non sei più un fijjolu.
Il gioco per me non è sinonimo di infantilità, anzi. Vedo nel gioco una componente essenziale per la vita dell’uomo. A tutti piace giocare, solo che tanti non lo ammettono o non se ne rendono conto. Mio padre per hobby coltiva il suo orto, ne aveva uno in montagna, ne ha comprato un altro più vicino a casa. Lavorare nell’orto non è facile: è faticoso. Ma lui si diverte, si spensiera quando è nell’orto.
Mia madre? Decoupage, chiacchierno, ferri da lana e macchina da cucire. Certo, loro diranno che sono interessi vantaggiosi perché ho sempre frutta e verdura fresca a casa, perché non devo andare dal sarto per un orlo. Ma non mi venite a dire che lo fanno solo per dovere!
Ho parenti che vanno a caccia e a pesca. Non è un bel passatempo? Ti stai in mezzo alle “fresche frasche” ad aspettare qualche quaglia che passa.
Ed a Natale? Tutti con le carte in mano, o a metter fagioli sulle caselle della tombola.
Siamo tutti dei giocatori, è solo che non lo volete ammettere perché la società – la vostra società – vi ha convinti che il gioco è per i bambini.
Della mia infanzia mi ricordo poco e niente. Davvero. Sono una persona distratta, non ricordo cosa ho mangiato a pranzo, e sono passate solo tre ore. Forse è per questo che il mio interesse verso il gioco è grande. Il mio lato ludico non ha ancora trovato sazio probabilmente. Gioco di ruolo cartaceo e dal vivo, faccio modellismo, fai da te, gioco ai videogames, faccio giochi di strategia… e sicuramente c’è altro che adesso non mi sovviene.
Per questa mia indole, alcuni familiari mi considerano una persona immatura. Credo invece di essere una di quelle persone che hanno capito che non è il gioco, il divertimento, a determinare se e quanto una persona è adulta. La vita, le esperienze, le persone che ho conosciuto mi hanno fatto diventare adulto, anche attraverso il gioco. L’interazione, la comunicazione mi ha fatto crescere e conoscere. Confrontarsi, scontrarsi ed incontrarsi mi ha fatto maturare e diventare quello che sono oggi. Non sono maturo come la società moderna mi vuole, non sono il figlio perfetto, il principe azzurro forte e dolce, non sono nessuno stereotipo che ci hanno tracannato a suon di favole, film, rimproveri e ordini. No, non lo sono e per niente al mondo vorrei esserlo.
Per me, essere maturo vuol dire essere cosciente della propria vita, capire cosa sta succedendo, scegliere, fare, credere. Svegliarsi, passando dal torpore di una vita vissuta dall’esterno alla consapevolezza di essere protagonisti di quella vita, non semplici spettatori, è il primo – fondamentale - passo per la maturità dell’uomo.
Chi può stabilire se io sia più maturo di un altro? I dettami della civiltà moderna? Le tradizioni? Il perbenismo? No, non credo. Sono i comportamenti di ogni uomo a delineare la sua propria forma di maturità.
La società ci vuole rinchiudere in gabbie di convenzioni e prototipi che ormai ci stanno troppo strette. E prima che la mia voliera esploda, evado verso un albero pieno di rami, pieno di scelte e opportunità.
Con la maturità “tradizionale”, l’uomo spesso perde la voglia di fare scelte e mettersi in discussione. Si arriva ad un punto di stallo, in cui si ha magari un lavoro od una condizione lavorativa abituale, una famiglia (non importa se la si trascura, l’importante è averla), qualche amico per condividere i vizi e i vezzi e stop, la vita è bella che pronta, da consumarsi preferibilmente entro i 35 anni di contributi e poi altri 20 o 30 anni di pensione.
Sono fuori dalla mia età perché rifiuto questa condizione e la rifuggirò il più possibile. Sarà il momento in cui il mio Io entrerà in coma, e vedrò di nuovo passare davanti la mia vita senza accorgermi che sono il protagonista e non uno spettatore. Io ho scelto di scegliere.

mercoledì 21 settembre 2011

CLERKS - Episodio IV


‘Sta mattina sono entrato in cartoleria per fare delle fotocopie… ma è stato più difficile del previsto. Ora vi racconto come è andata.
“Salve, dovrei fare delle fotocopie di documenti che ho sul computer.”
“Me li porti su una pennetta USB o su un CD così li stampiamo e poi li fotocopiamo.”
“Ah certo, la pennetta USB, certamente. Vado e torno!”
Sono tornato a casa, un po’ perplesso. Pennetta USB? Chissà cos’è! Guardo il mio computer portatile e vedo una scatolina collegata ad una porta USB. Faccio due più due e capisco: sarà la pennetta USB.
“Eccomi di ritorno, ho portato la chiavetta USB, come ha detto lei.”
Mostro l’affare al commesso. Lui la guarda un po’ stranito e poi afferma: “E’ un po’ strana sta pennetta, sarà una di quelle vecchie! Guarda quanto è grossa!”
Boh, non ci capisco niente e l’ho lasciato fare. Mette la pennetta sul suo computer e subito la lucetta si accende.
“Non me la apre. Avrà qualche problema.”
“Impossibile, l’ho usata fino a poco fa per collegarmi ad internet. Clicki su “Connessione TIM” e vedrà come si collega subito.”
“Connessione TIM? Ma dove? Io non… aaaah ma questa è una chiavetta di connessione internet. Ecco perché è così grossa. No, questa non va bene.”
“Ma non è una pennetta USB? Ora è diventata una chiavetta?”
“Senta, porti il computer che facciamo tutto qui.”
Torno a casa più confuso di prima. Chiavetta, pennetta… che saranno tutte ‘ste cose?
Prendo il computer e ritorno per la terza volta in cartoleria.
“Ecco, ho portato il computer, i documenti da stampare sono sul descop. È quello con l’econa di guord.”
“Si, vedo. Ma io qui non ho una pennetta disponibile al momento. Possiamo collegarci in rete e lo stampo direttamente.”
“Se si connette ad internet le mando sul suo computer.” L’ho fatto mille volte!
“E come fa, mi scusi?”
“Beh le mando una emme-elle.”
“Una emme-elle? Una e-mail, vuol dire. Si forse facciamo prima. Le do il mio indirizzo.”
“Non serve, basta che clicko qua, vede? Scrivo il nome del destinatario, e lui lo trova.”
“Ma se non ha il mio indirizzo in rubrica non può trovarlo.”
“Ma si le dico, guardi. Car-to-le-riiiii-a!” Ho aspettato, ma non trovava niente. Stupido computer, fa sempre quello che vuole lui.
“Guardi, scriva cartoleria mondo ufficio tutto attaccato, chiocciola tiscali punto it.”
“Ok, perfetto, l’ho mandata.”
Abbiamo aspettato almeno mezzora, ma non gli arrivava nessuna emme-elle. Mi ha chiesto di controllare che l’indirizzo fosse giusto, e lo era. Avevo scritto quello che mi ha dettato lui: cartoleriamondoufficiotuttoattaccatochiocciolatiscalipuntoit. Certo che si poteva trovare un nome più corto!!!
Poi mi ha guardato un po’ stranito, come se stesse soppesandomi. Tornò a guardare lo schermo del computer e poi me, poi lo schermo di nuovo. Si mise a ridere, di quelle risate isteriche tra la disperazione e l’incredulità. Lo guardai un po’ irritato. Scosse la testa più volte e batté il pugno sul bancone ripetutamente, piegandosi in due per le risa.
“Mi spiega perché ride?” dissi seccato. Lui si asciugò le lacrime dagli occhi e mi disse, ancora ridendo: “Guardi, mi dispiace, ma non sono abilitato a questo tipo di richieste. Provi in un’altra cartoleria.” E continuò a ridere accompagnandomi verso la porta. Ho sempre pensato che quello fosse un tipo strano!
Mentre andavo via, ho visto uno che entrava, più strano del commesso.
“Scusate, avete pane?”
“Pane? ma questa è una cartoleria!”
“Ah, capisco…sa, ho visto l’insegna e pensavo…”


- Dedicato a Roberto e agli amici di Fumettopoli

lunedì 19 settembre 2011

Lampu e Tronu - L'Inizio


L’uomo vestito di nero correva velocemente, saltando agilmente tutti gli ostacoli che gli si paravano davanti. “Un percorso familiare” pensò, mentre superava rapidamente la ringhiera di un terrazzo per buttarsi sul tetto della casa vicina, e sparire nell’oscurità dei vicoli.
Il poliziotto stava ancora salendo la scala, affannato e sudato. Aveva perso il cappello durante la corsa e si era allentato la cravatta. Arrivato sul terrazzo si fermò a riprendere fiato, piegato i due, con le mani sulle ginocchia. Ormai il fuggitivo era perso.
“Oh, chi succediu? A voliti finiri cu sti passiamentu?” Gridò un uomo affacciato al balcone. Era vistosamente arrabbiato, ma mutò in fretta il suo stato d’animo in imbarazzo, mentre il poliziotto si affacciava al parapetto per guardare di sotto.
“Ehm… salutiamo Commissario. C’è qualche problema?”
“Ma quale Commissario?! Torni a dormire che non è successo niente!” Disse stizzito il poliziotto. Si sentiva sempre preso in giro quando qualcuno lo chiamava con un grado superiore al suo. Tanto più perché aveva da poco fallito proprio il test del concorso per Commissari di Polizia.
Ma quello che bruciava adesso, era l’aver perso un delinquente molto importante: un vigilantes che si sta facendo conoscere da qualche tempo nella sua cittadina di provincia.  Non ha nome, non ha volto. Alcuni giornali locali lo chiamano Zorro, perché veste tutto di nero. C’è chi lo chiama Punitore, perché colpisce solo i delinquenti e la criminalità organizzata. C’è chi lo sta osannando come un supereroe. Ma è un fuorilegge. Un ladro e un assassino, tutto qui.
Quello che i giornali non sanno, è che il loro vendicatore mascherato lascia una bella lista dei reati – o  peccati se volete – che la vittima ha commesso in vita. Almeno non lo sapevano fino a questa mattina.
Dopo il terzo omicidio, il vice questore aggiunto ha chiesto dei rinforzi, che tardano ad arrivare. E con questa sera siamo a quattro.
Quattro omicidi in quindici giorni. Un bel record. Tutti membri della malavita organizzata. Tutti brutti ceffi che hanno alle spalle più reati che anni di vita.
La polizia cerca di incastrarli da anni, loro e i padrini che li capeggiano. Ed ora, sembra che la soluzione sia arrivata.

Dal rapporto dell’ispettore Magliai:
[omiss] Il cadavere è stato trovato in posizione supina, con occhi e bocca spalancati, come in una espressione di stupore. Il corpo non presenta segni di colluttazione, di armi da taglio o da fuoco. Come i cadaveri rinvenuti in precedenza (di cui rapporti n.81 del 14/04/2011, n.83 del 17/04/2011 e n.90 del 23/04/2011), presenta bruciature da scossa elettrica sul braccio destro e sulla mano sinistra. [omiss]

Da “Liberi nel sud” – quotidiano locale gratuito – del 28/04/2011
Quest’uomo di coraggio e sicuramente vicino alle forze dell’ordine, ha già perpetrato quattro omicidi a scapito di uomini appartenenti a cosche mafiose della zona. La mafia sta subendo un duro colpo e la gente si sente di ringraziare questo vigilantes che opera per la comunità. Le illazioni sul conto di questo “punitore”, di persone che vedono gli omicidi come regolamenti di conti tra bande, vengono sfatate da indiscrezioni della Polizia. Questa mattina  infatti, è stato reso noto che accanto ai corpi delle vittime sono state trovate delle liste di reati probabilmente commessi o commissionati dai quattro. Non resta nessun dubbio su questo eroe dei nostri giorni, deciso a mettere fine a questa (troppo) lunga tradizione di delinquenza nella nostra terra.
Quando le forze dell’ordine dormono, dove la burocrazia della magistratura ostacola, come un fulmine a ciel sereno, un uomo si sveglia e agisce.

 “Non puoi continuare così! Sta sera ti stavano quasi per prendere!”
“Non mi prenderanno, conosco la zona molto meglio di loro, ci facevo parkour prima ancora lo chiamassero parkour.”
“Si ma non puoi continuare ad ammazzare la gente! Lo capisci o no?”
“Loro ammazzano e poi vanno in chiesa, rubano e poi si fanno vedere alle cene di beneficenza, schiavizzano la gente, e poi si comportano dai filantropi di fronte alle autorità: avranno lo stesso trattamento da me. E dovranno capire che sto arrivando, contando gli sgherri che gli rimangono.”
“Quindi li vuoi far fuori tutti, vero? Non ci sto, non ci sto più!”
“Quelli che ho ammazzato erano due mammasantissima e due picciotti quasi intoccabili. Voglio che abbiano paura e capiscano che posso arrivare a chiunque.”
“No, no, no… è la polizia che li deve arrestare, i carabinieri. Vanno messi in galera, non è giusto ammazzarli, anche se loro hanno ammazzato.”
“Non hanno prove, lo sai. Lo sai perché la chiamano piovra? Perché ha contatti dappertutto: politici, polizia, giudici corrotti. Per questo prospera. Io sbatterò la testa di questo polpo contro la roccia più dura che c’è.”
“Ricordati due cose dei polpi: uno, alcuni sono velenosi e pericolosi; due, preferiscono perdere un tentacolo o due piuttosto che morire. Sono sfuggenti e viscidi. È difficile tenerli fermi…”
“Se non sai come fare!”
“Se ne ammazzi ancora non ti aiuto più. Stordiscili, mutilali se devi, ma basta omicidi. Ti prego.”
“Sarà più difficile, sai? Non pagheranno mai per i loro reati. Ci proverò. Vieni qua, fatti abbracciare fratellino.”
“Eh trovati un nome, non mi va che i giornali ti chiamino Zorro!”
“E allora tu sarai Lampu e io Tronu: Lampu mi li llampa e Tronu mi li ‘ntrona!”

domenica 4 settembre 2011

Un piccolo passo per l'uomo...

...e un grande passo per il piccolo scrittore che è in me. Sono lieto di annunciarvi che "Alba digitale" è stato pubblicato su un'antologia di racconti brevi italiani sui robot intitolata "Robot Ita 1.0 - Cento storie italiane di robot" . Edito da Edizioni Scudo, il libro raccoglie 100 storie di autori italiani e verrà pubblicato in forma cartacea ed elettronica. Per visionare l'opera http://www.edizioniscudo.it/

venerdì 2 settembre 2011

Yao Guai


L’uomo in vestito scuro e bombetta si avvicinò al fiume, con le labbra rigide sotto gli aguzzi baffetti neri, con occhi sicuri e risoluti. Lo schiavo nero, dai vestiti nuovi ma impolverati, era impaurito e lo precedeva.
“Sir Price, eccolo, eccolo. Deve essere lui!”
Of Course, Badu. Calmati adesso, potremmo spaventarlo. Fallo avvicinare.” Rispose il gentleman inglese, con garbo.
L’uomo di colore, ubbidì al comando con prontezza. Arrivato all’argine del fiume, fece degli esasperati gesti al cinese sulla zattera al centro del fiume Huang He, attirando presto la sua attenzione.
“Arriva sir Price, arriva. Sta arrivando, si sta muovendo. Preparo la pistola? Sir, preparo la pistola?” sussurò ansioso lo schiavo. Il nervosismo che traspariva dai suoi movimenti guardinghi e le occhiate circospette, contrastava con la serafica calma dell’inglese.
“Badu, mantieni la calma e un rispettoso silenzio mentre tratto con quest’uomo, right?”
Badu annuì e si girò per osservare il cinese arrivare alla riva con la sua zattera, tirarla all’asciutto ed avvicinarsi con passi brevi e capo chino.
Inchinandosi, in un gesto di saluto reverenziale, disse: “Cosa desiderare il signore inglese?” in un biascicato inglese.
Sir Price non fu sorpreso: gli inglesi erano degli ottimi acquirenti, ma non avevano la pazienza di imparare altre lingue. “Chi vuole parlare con noi, deve farlo nella nostra lingua.” pensò.
“Ho saputo che tu raccogli i corpi dei morti trasportati dalla corrente del fiume in questa zona, dietro compenso, of course. Mi sbaglio forse? Qual è la tua parcella?”
“Se cercate bambino bianco, con camicia bianca e pantaloni neri, il mio compenso è troppo alto, signore. Lei dimenticare e tornare in Inghilterra.” Rispose l’uomo con sicurezza.
“Sono disposto a pagare trecento sterline, o se preferite in monete d’argento, ma devo recuperare quel corpo.”
“Dieci volte tanto signore, in argento! E il suo servo deve venire con me, oppure nulla signore.”
“Tremila sterline, in argento? Mio caro signore, lei esagera. Troverò qualcuno che lo farà per molto meno. Arrivederla.” Disse l’uomo inglese, sollevando la bombetta in segno di saluto.
“Nessuno entrerà nella terra di Yao Guai, solo io sono tanto pazzo per farlo. Dopo avere visto i suoi occhi di fuoco e le zanne di tenebra, solo io ho il permesso di andare nel suo territorio. La bestia ha fame e aspetta qualcuno per appagare le sue viscere. ”
“Andiamo Badu, troveremo un altro modo, a costo di andare noi stessi a recuperare il corpo.”
Badu guardò il cinese con uno sguardo tremante e febbricitante. La paura di quei luoghi così esotici e straordinari era adesso aumentata dal racconto del vecchio.

Il giorno dopo, la scena si ripropose identica. Badu, sempre più spaventato, aveva ottenuto il permesso di tenere la pistola carica in mano. Attirò l’attenzione del pescatore di corpi, che si avvicinò alla riva senza scendere dalla zattera.
“Sali, abbiamo poco tempo prima che il sole muoia.” Disse allo schiavo. Sapevano tutti e tre perché l’inglese era tornato al fiume e cosa teneva nella borsa di cuoio lo schiavo nero.
Badu guardò sir Price, e deglutì rumorosamente quando questi gli fece cenno di andare.

La zattera si mosse lenta, spinta dal grosso remo del cinese. Badu intanto si guardava intorno puntando la pistola verso tutte le canne mosse dal vento, i rospi che saltavano in acqua e ogni altro movimento che attirasse la sua attenzione.
“Cos..cos’è Iau Gay? È un uomo? È un animale?” disse il nero.
Il cinese non rispose e continuò a remare. Badu si innervosì, ma non osò insistere o minacciarlo: quell’uomo gli faceva paura. Cominciò ad intonare una nenia africana per scacciare gli spiriti maligni, dondolando il capo a destra e sinistra.
“I tuoi dei sono troppo lontani per aiutarti. Il figlio del tuo padrone è la.” Proferì il barcaiolo dopo qualche istante. Indicò un punto sulla riva occidentale del fiume, dove un piccolo corpo sporco di fango si faceva accarezzare dal’acqua.
Raggiunta la riva, lo schiavo scese dalla zattera per recuperare il corpo. “Prima lo recupero, prima torniamo indietro.” Pensò. D’un tratto il cielo si fece scuro e una densa nebbia giallastra circondò Badu. Il fiume smise di scorrere, ogni rumore si attutì fino a scomparire. Badu recuperò il corpo e si accorse di quello che stava succedendo solo quando fu immerso completamente dalla fitta nebbia. La paura lo inondò come una fredda marea, sbilanciandolo. Cadde sopra il corpo che doveva recuperare. Impugnò la pistola con le due mani e si guardò intorno freneticamente, incapace di alzarsi. Sentiva dei passi, pesanti e profondi. Un ringhio lamentoso gli provocò dei brividi sulla schiena che lo paralizzarono.
“Cinese, sei tu? Cinese? Dove sei? Nyame salvami tu!” gridò isterico mentre sparava un colpo verso la nebbia.
Prese il corpo del bambino dal colletto della camicia e lo tirò a se. “Mostro, mangiati lui, non mangiare me. Sono nero, lui è più buono! Hai sentito mostro… Iau Guy hai fame? Mangiati questo bambino.” Disse, scaraventando il bambino tra la bruma.
Un ruggito fece tremare l’aria e la nebbia esplose di luce. Il bambino scomparve, svanendo debolmente alla vista di Badu, terrorizzato.
Esplose un colpo. Poi un secondo colpo. Ed un terzo infine. Non vide sangue, non sentì grida di dolore: il mostro era ancora vivo. “VAI VIAAA!! VAI VIAAAA!!! Non mi mangiare… ti prego, non mi mangiare…”
Ma nessuno rispose alle sue suppliche. Il ruggito si faceva sempre più forte, rimbombava nella testa dello schiavo nero, mentre un acre odore muschiato riempiva l’aria.
Poi più niente. Nessun suono, all’improvviso. Nessuna luce abbagliante. Poi fu il buio.

L’inglese vide la zattera del cinese avvicinarsi alla riva, flemmatica quanto il suo padrone. Trasportava il corpo esangue del figlio, affogato il giorno prima mentre giocava vicino alla loro residenza. Non si scompose a vedere il cadavere del bambino, ne per l’assenza dello schiavo.
“Mi lanci la borsa, signore.” Disse il cinese. Sir Price eseguì con prontezza e restò a guardare mentre il pescatore di corpi calava il corpicino in acqua e lo spingeva col remo.
“La bestia ha saziato la sua fame, spero?” Chiese il gentleman.
“Yao Guai può essere appagato…mai sazio.” Rispose il vecchio allontanandosi e scomparendo tra i giunchi e le canne.

lunedì 22 agosto 2011

L'ultima raffica

11 aprile
Non so come é cominciata sta storia, se é stato un virus o una maledizione. Queste sono cose da film, che sono sempre lontani dalla realtà. Gli zombies non hanno paura del fuoco, non sono lenti e fortissimi e non vogliono solo il tuo cervello: vogliono tutto. Non assimilano niente, quindi hanno sempre e solo fame. Non si fermano mai.
La cosa più brutta peró, quella che rende difficile affrontarli, è che sono i tuoi familiari e amici. Hai mai provato a bruciare tua madre? Hai mai provato l'angoscia nel vedere tua madre a braccia tese, alla ricerca di un famelico abbraccio? Puntarle in fucile in faccia e non riuscire nemmeno a vederla perché hai gli occhi pieni di lacrime. Sentirla ancora che ti chiama per il pranzo, mentre in realtà sei tu il suo pranzo. Mamma, cazzo, perchè tu?!

12 aprile
Non ci sono riuscito nemmeno oggi! Lei mi ha dato la vita, non le posso dare la morte. Anche se forse é una liberazione. Cazzo, la vorrei abbracciare ancora...

15 aprile
L'unica cosa vera sugli zombies è che se gli spacchi la testa si fermano. Per sempre. Ho già fatto fuori Giorgio, Marco, il figlio di Giacomo, Franco, il macellaio del Conad e una ventina di altri che non ho riconosciuto. Forse uno era mio fratello. Cazzo, ci sto pensando un sacco e non riesco a farmene una ragione. Non posso aver ucciso mio fratello: zombie o no, era mio fratello. Cazzo, cazzo! Sono sicuro! Porca...

17 aprile
Il dottore dice che é un virus che ti rode il cervello. Siamo fottuti, ci mangeremo a vicenda, ci infetteremo gli uni con gli altri finché non resterà nessuno sulla terra. Siamo fottuti. Io non so quanto male abbiamo fatto per meritare tanto. Tutto é nato in Sierra Leone - o almeno così diceva la TV - da un virus. Alcuni archeologi hanno aperto un tempio in una foresta e si é scatenato l'inferno, una maledizione, l'apocalisse cazzo! Una dannata apocalisse.

19 aprile
Spero che arrivi presto l'esercito, se ancora ce n'é uno, a bruciare tutto. Non voglio diventare come loro, non voglio mangiare i miei amici. Non voglio che qualche fottuto virus mi mangi il cervello. Voglio trovare mia madre. Mamma, ti porto al sicuro, vedrai.

20 aprile
Spero che arrivino presto i rinforzi, che mandino qualcuno a prenderci. Siamo rimasti solo io e il dottore. E mi rimane solo una raffica...non resisteremo a lungo.

domenica 31 luglio 2011

CLERKS - Episodio III

“Ciao signore, c’è Resintel ‘ntevil?” disse il ragazzino entusiasta al commesso del reparto gaming, con un luccichio negli occhi che traspariva un grande desiderio.
“Ciao, aspetta che controllo. Per quale console?” rispose cordiale il commesso, avvicinandosi al computer.
“Per la piessetrè lo voglio, io però ho la piessepì, però ci gioco da mio cugino che è qua in vacanza e poi però se lo porta via quando finisce l’estate, perché ora è in vacanza qua, ma poi se ne deve andare e non può rimanere e io glielo regalo perché gli piace assai pure a lui.” Rispose il bambino, tutto d’un fiato, trepidante in attesa del responso.
Il commesso sorrise e con la cordialità di sempre disse: “Mi dispiace, ma Resident Evil l’ho finito, però se guardi in vetrina magari trovi qualche altra cosa che ti piace."
Il ragazzo si afflosciò all’istante e guardò nauseato la vetrina dei videogames. Intanto arrivarono altri due ragazzini, che si avvicinarono al primo e gli chiesero informazioni su “resinen devil”, ma la notizia negativa li fece ammosciare ed imprecare con un “mannaia a la madosca, però!
Il commesso li guardò con aria assente, pensando a quando era piccolo e giocava con le figurine, o a calcetto vicino alla fiumara, e si allontanò per tornare alle sue mansioni.
“ECCOLO!!! ECCOLO!!!” gridò uno dei tre bambini, facendo sussultare il commesso. “Eccolo, l’ho trovato, mi ha detto che non c’era!!!” rincarò il ragazzino dirigendosi al bancone.
“Ma perché mi hai detto che non c’era? Guarda! L’ho trovato” disse mostrando un videogame al venditore.
“Ma questo è Shellshock, non è Resident Evil.” Osservò il giovane, leggendo il nome del gioco.
“No è Resintel ‘ntevil! L’ho riconosciuto subito! Leggi qua: Un passo dall’Inferno! L’Inferno è un livello di Resintel, capisci?!”
Il giovane venditore rimase basito da quell'affermazione. "Possibile che siamo arrivati a questo punto?" Pensó "questi bambini conoscono il mondo tramite i videogames".
"Piccolo, l'inferno non é solo un livello di Resident Evil: l'uomo, da secoli ormai, chiama Inferno il luogo dove vanno le anime delle persone cattive quando muoiono."
Il bambino rimase basito, incredulo di fronte a quell'affermazione. Come un motore messo a folle, aspettava che qualcuno ingranasse una marcia per riprendersi. E la marcia la ingranó il più grande dei tre, con un sonoro scorci di coddu.  "Te l'ho detto che non era quello, testa di bajjolu" aggiunse dopo il colpo, e tirando l'amico per la maglietta uscì. 
Appena in tempo, prima che una giovane signora chiedesse: "Avete cd della Verbania? Quelli che si scaricano le canzoni. Ma datemeli originali altrimenti saltano."

martedì 5 luglio 2011

Tecnolimpo - Alba digitale

Caterina guarda l’alba, assorta nel biancore del cielo primaverile. Il suo sensore CMOS Exmor R™ della Sony® cattura l’immagine in alta qualità e la passa all’elaboratore grafico. In pochi millesimi di secondo, il processore elabora i dati contenuti della RAM.
Caterina – o per meglio dire: il modello K4-TR matricola 0023 – ricerca tutti i TAG “Alba” nel suo database di definizioni e capisce che dovrebbe essere affascinata dallo spettacolo che le si presenta davanti. I servomotori del viso, grazie alla subroutine apposita, piegano le labbra di silicone e fibra Lorica™ in un’imitazione dello stupore umano.
I modelli di 4° generazione, della serie K di TronicRobotic® sono caratterizzati da una programmazione ad alta sensibilità ed estrema bellezza. Il modello 0023 – pardon, Caterina, come preferisce farsi chiamare – ha la pelle olivastra e occhi scuri, i capelli in fibra Kanekalon™ sono ricci e castani e le donano un aspetto molto mediterraneo. Per questo è stata mandata a Scilla.
Guardare l’alba sullo Stretto di Messina la distoglie per qualche centesimo di secondo dal suo progetto iniziale, ma il suo processore multitasking octa-core da 20 GHz riprende subito il controllo dei dati sulla missione.
La centrale idroelettrica Cariddi, posizionata nello Stretto di Messina, è il cuore energetico della Penisola: convoglia le correnti sottomarine e le trasformar in energia elettrica grazie alle mirabolanti turbine che affiorano dall’acqua. Da quando le centrali atomiche di Biblis (Germania) e Gravelines (Francia) hanno reso il nord Europa un deserto radioattivo, a seguito del catastrofico conflitto bellico tra le Nazioni Unite e i terroristi islamici, i governi rimasti hanno bandito l’energia nucleare. Ed ora che il petrolio si è definitivamente esaurito, sfruttare la natura è l’unico modo di ricavare energia.
Dopotutto la guerra per l’energia è appena cominciata e Caterina ne è dentro. Il suo ruolo? Sorvegliare il sito energetico sullo Stretto di Messina. Chi l’ha ordinato? Il governo, chi altri?! La serie K4-TR è la squadra robotizzata del governo italiano, agli ordini diretti del capo di stato maggiore dell’esercito.
I sensori sismici posizionati nella pianta dei piedi e i radar le segnalano dell’attività anomala: è ora di intervenire. Avvicinandosi all’acqua del Mediterraneo, Caterina prepara i repulsori inferiori. Non sente il gelo dell’acqua marina, ma misura i 12,8° C e i 2,89 nodi della corrente. Entra in mare come se stesse camminando in un sentiero di montagna, senza fatica, spostando i flutti come arbusti impotenti che si richiudono alle sue spalle.
Alla completa immersione, i repulsori posizionati ai polpacci nudi vengono scoperti da pistoni idraulici e spingono la ragazza cibernetica tra i flutti, come un missile antropomorfo.
Tutto si tinge di blu, mentre le laminarie – quasi del tutto distrutte dalla presenza imponente della centrale – danzano come in una coreografia della Graham. La fauna del tutto estinta, triturata negli anni dalle turbine, lascia il posto alle boe sottomarine Kompass® e non disturba il procedere rapido di Caterina.
Solo un piccolo siluro ad arpione, inseguito da centinaia di bolle, rompe la monotonia del mare e mette in allarme Caterina. L’acqua si riscalda impercettibilmente, un sottile fascio di luce rossa tinge l’acqua di viola creando un’atmosfera di pericolo. Ma il pericolo termina con l’esplosione del siluro, ad una distanza di 10 metri dal robot. I raggi laser installati nell’iride di Caterina hanno fatto il loro lavoro. Gli ingegneri TronicRobot® avranno preso spunto dall’animazione giapponese per mimetizzare le armi della serie K4TR?
Il sonar di Caterina individua cinque uomini, con battiti accelerati ed evidente ostilità. Localizza i loghi sulle mute e comprende che ha davanti dei terroristi. Facile immaginare che il grosso pacco che due di loro trasportano legato a delle boe sia esplosivo. Immaginare? Si, Caterina chiama così il suo elaboratore probabilistico.
Potrebbe finirli a distanza con i laser, ma decide di non ucciderli: la vita è un bene prezioso, è implicito nella prima regola. Punta il dito contro gli invasori e, da sotto la lunga unghia rossa, parte una scarica elettrica da 180 KiloVolts che si propaga facilmente nell’acqua stordendoli dopo qualche spasmo. La tela che copre l’esplosivo non protegge il timer digitale dal campo magnetico generato dall’alta tensione, che si guasta facendo fallire miseramente il piano banale e inefficace.
Caterina non si chiede perché l’uomo cerca di distruggere se stesso e il mondo che lo ospita, sa già che lo fa per i soldi, per il potere o per pulsioni del suo sistema nervoso. Sa che l’uomo va protetto, sa di essere lo strumento che lo difenderà. Sa che il suo compito è lottare per porre fine alla guerra, prima che la guerra ponga fine all’umanità.

mercoledì 29 giugno 2011

CLERKS - Episodio II

“Non si fa così, non si fa proprio così!" Gridò il vecchietto rubicondo alla cassiera. Era entrato a passo svelto, agitando il bastone che teneva in mano, sostenuto dalla collera. Era visibilmente arrabbiato e puntava alla cassa, lasciando basiti i clienti e i commessi. La cassiera accusata, si alzò dalla sedia e cercò di parlare, per chiedere spiegazioni, per aver un chiarimento, ma fu inutile.
“Non ci si comporta così, io sono anziano, voi dovete avere rispetto. Si, si lo so! Ma non mi interessa, avete capito?! Ho aspettato fino ad ora e non è venuto nessuno. Sono stato in balcone a prendere aria - lo sapete che vuol dire stare in balcone alla mia età?!- e non è venuto nessuno. E nemmeno avete telefonato!"
Raggiunta la cassa, si appoggiò ansante al box guardando la cassiera, battendo il bastone a terra per sottolineare le frasi e richiamare l'attenzione.
Il responsabile del negozio, Mario, uscì da suo ufficio, richiamato dal vociare, e si avvicinò al vecchietto determinato.
Questi intanto continuava ad inveire con frasi fatte del tipo “non c'è più rispetto", “il cliente ha sempre ragione", “ai miei tempi...", boccheggiando di tanto in tanto.
“Ma tu guarda questo! Ha deciso di sclerare qua sta mattina!" pensò Mario guardando l'anziano e facendo un gesto d'intesa alla cassiera.
“Saaaalve, la posso aiutare?" disse Mario con voce sostenuta per attirare il cliente adirato.
Il vecchietto si girò, lo guardò da capo a piedi più volte, lasciando tutti in un trepidante silenzio.
“Non si fa così, Lo sa lei?!" ricominciò il vegliardo “Non ci si comporta così! Io sono anziano, voi dovete avere rispetto. Ah! Non mi interessa quello che dice, sa?! No, per niente! Ho aspettato fino ad ora, sa?! E non è venuto nessuno. Sono stato in balcone a prendere aria - lo sa che vuol dire stare in balcone alla mia età? - e non è venuto nessuno. E nemmeno avete telefonato! Potrei essere tuo nonno: lo rispetti a tuo nonno tu?! Eh?"
Stordito dalla valanga di parole, Mario scosse la testa per riprendersi e mettere in chiaro le idee.
“Allora, si calmi un po' e mi spieghi che cosa è successo."
“Non mi calmo un bel niente! Sono stato in balcone io, a prendere freddo. E voi non siete venuti. Non avete nemmeno chiamato. Io ho chiamato e mi ha risposto una signorina che mi diceva “il numero che avete chiamato non esiste, provate a controllare". Ma benedetto signore, se io ti chiamo e tu mi rispondi com'è possibile che il numero non esiste? Che poi secondo me è una che fa scherzi: ieri ho chiamato a mio figlio sul telefonino e mi ha risposto sempre questa qua e mi ha detto “il cliente chiamato non è raggiungibile, chiamate più tardi”. Boh, che vuol dire che non è raggiungibile? E quantu veloci vai me fijjiu? Però io le ho detto di avvertirlo che avevo chiamato, quando lo raggiungeva. E invece non gli ha detto niente! Non c'è rispetto, non c'è!"
Sbigottito al sentire queste parole, Mario trattenne una risata e, capendo la situazione, prese il vecchietto a braccetto e lo allontanò dalla cassa dicendo: “Ma si, sapete, è gente scostumata, non capisce. Venite con me su.” Fece dei segni alla cassiera, come ad intendere di continuare a lavorare e si spostò verso il suo ufficio. Fece accomodare il cliente che nel frattempo si era calmato sentitosi compreso, avendo ottenuto l’attenzione che cercava.
Allura, cuntatimi chi succediu!” disse Mario, parlando in dialetto per avere un tono più confidenziale.
“Vi stavo aspettando, mi avete detto che sareste venuti in mattinata, ma sono le quattro del pomeriggio, Benedetto il Signore! E ancora non si vede nessuno!"
“Ma a chi aspettavate? E soprattutto: cosa aspettavate?" incalzò Mario insospettendosi.
“Ma come chi? VOI! Aspettavo che mi portaste il frigorifero che ho comprato ieri!" rispose il vecchio con un tono che manifestava una chiara irritazione di fronte ad un evento che avrebbe dovuto essere ovvio.
“Frigorifero? Ma qui non vendiamo frigoriferi. Questo è un negozio di abbigliamento!" disse Mario incredulo e al contempo divertito.
E vabbhò fijju, ma tanto ca siti tutti cu nu patruni, o supra o sutta è tutta a stessa cosa!” continuò il vecchietto ancora più stizzito.
“Aaah! Quindi lei pensa che i 57 negozi del centro commerciali siano tutti dello stesso proprietario e che io sia a conoscenza della consegna del frigorifero, anche se lavoro in un negozio di abbigliamento." Riassunse Mario. Si alzò sorridendo, prese il cliente per un braccio e lo aiutò ad alzarsi. Poi senza aggiungere altro, lo accompagnò nel negozio di elettrodomestici del centro commerciale e lo lasciò alle casse, sorridendo e salutando un gesto della mano. Tornato in negozio raccontò l'accaduto ai colleghi e ai clienti curiosi che avevano visto la scena, provocando le risate di tutti. Ricordando dolcemente all'ingenuo vecchietto, pensò: “Starà facendo la stessa scenata pure la?" e con questo dubbio, ritornò al lavoro.