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venerdì 23 settembre 2011

Fuori dalla mia età

Oggi son un po' più serio del solito, per quanto considerarmi "serio" fa ridere anche me. Ho scritto di getto, dopo una lettura molto interessante. Non il solito racconto, ma una presa di coscienza: da qui parte la maturità.


Ho quasi trent’anni e sono fuori dalla mia età. Si, mi sento fuori da tutti i canoni che la società moderna ha imposto alle persone della mia età. Forse questo è dovuto ad una confusione mentale, ad una educazione  imprecisa, o ad una ribellione pacifica e solitaria verso le prescrizioni di un’istituzione a cui non aderisco. Sono immaturo? Non credo proprio. Affronto i problemi della vita come una persona matura e seria, faccio delle scelte ed accetto le conseguenze, affronto le mie paure e cerco di superarle, mi integro e mi faccio integrare.
Diciamo anche che dalle mie parti, tutti quelli che non sono sposati o non hanno un lavoro o stanno a casa con i genitori, vengono chiamati “fijjoli”, come a rimarcare il loro essere giovani, impreparati alla vita, acerbi di esperienze, e quindi paragonabili a dei bambini, in un certo senso. È un’abitudine che però porta i genitori a vederti sempre troppo piccolo per fare o sapere determinate cose, e ti porta a sentirti spesso impreparato ad affrontare gli eventi puntuali della vita: la scelta delle scuole superiori, il militare (per chi l’ha fatto), la scelta dell’università, il voto al referendum, alle elezioni comunali; ed ancora più impreparato agli eventi casuali ed inaspettati: la prima cotta, il primo bacio, il primo lavoro, la prima perdita…
Il mio primo voto, due mesi dopo i 18 anni, è stato per un referendum. Non ricordo cosa trattasse, ma non ne capivo niente e mi sentivo uno stupido ad andare a votare senza sapere per cosa. Sprecare il mio voto! Mi informai, lessi, chiesi, e presi una decisione. Beh votai e piegai tutte e sei le schede insieme. Non vi dico che risate della commissione. Ed a ripensarci adesso, viene da ridere anche a me! Ero un incompetente, perché non avevo nessun tipo di esperienza di quel tipo, nemmeno “passiva”. Non avevo mai seguito una votazione, uno scrutinio, niente di niente. La politica non era una cosa per i fijjoli. Ma non c’è preparazione per passare da fijjoli ad adulti.
Il passaggio tra infanzia ed adolescenza è abbastanza graduale: smetti con alcuni giochi, smetti con alcuni cartoni animati, cominci ad interessarti alle “cose dei grandi” e ti cominciano a dare dei compiti di “responsabilità” tipo guardare il fratellino, andare a comprare il pane, ti vestono diversamente perché il tuo corpo cambia.
Tra l’adolescenza e l’età adulta, lo stacco invece è netto. C’è qualcosa che ti fa cambiare. Non in tutto, no. Ti fa maturare in quelle cose che ti rendono adulto. Magari non smetti di fare le partite di calcetto con gli amici, o continui con i videogiochi, però ti senti diverso dentro. Senti che non sei più un fijjolu.
Il gioco per me non è sinonimo di infantilità, anzi. Vedo nel gioco una componente essenziale per la vita dell’uomo. A tutti piace giocare, solo che tanti non lo ammettono o non se ne rendono conto. Mio padre per hobby coltiva il suo orto, ne aveva uno in montagna, ne ha comprato un altro più vicino a casa. Lavorare nell’orto non è facile: è faticoso. Ma lui si diverte, si spensiera quando è nell’orto.
Mia madre? Decoupage, chiacchierno, ferri da lana e macchina da cucire. Certo, loro diranno che sono interessi vantaggiosi perché ho sempre frutta e verdura fresca a casa, perché non devo andare dal sarto per un orlo. Ma non mi venite a dire che lo fanno solo per dovere!
Ho parenti che vanno a caccia e a pesca. Non è un bel passatempo? Ti stai in mezzo alle “fresche frasche” ad aspettare qualche quaglia che passa.
Ed a Natale? Tutti con le carte in mano, o a metter fagioli sulle caselle della tombola.
Siamo tutti dei giocatori, è solo che non lo volete ammettere perché la società – la vostra società – vi ha convinti che il gioco è per i bambini.
Della mia infanzia mi ricordo poco e niente. Davvero. Sono una persona distratta, non ricordo cosa ho mangiato a pranzo, e sono passate solo tre ore. Forse è per questo che il mio interesse verso il gioco è grande. Il mio lato ludico non ha ancora trovato sazio probabilmente. Gioco di ruolo cartaceo e dal vivo, faccio modellismo, fai da te, gioco ai videogames, faccio giochi di strategia… e sicuramente c’è altro che adesso non mi sovviene.
Per questa mia indole, alcuni familiari mi considerano una persona immatura. Credo invece di essere una di quelle persone che hanno capito che non è il gioco, il divertimento, a determinare se e quanto una persona è adulta. La vita, le esperienze, le persone che ho conosciuto mi hanno fatto diventare adulto, anche attraverso il gioco. L’interazione, la comunicazione mi ha fatto crescere e conoscere. Confrontarsi, scontrarsi ed incontrarsi mi ha fatto maturare e diventare quello che sono oggi. Non sono maturo come la società moderna mi vuole, non sono il figlio perfetto, il principe azzurro forte e dolce, non sono nessuno stereotipo che ci hanno tracannato a suon di favole, film, rimproveri e ordini. No, non lo sono e per niente al mondo vorrei esserlo.
Per me, essere maturo vuol dire essere cosciente della propria vita, capire cosa sta succedendo, scegliere, fare, credere. Svegliarsi, passando dal torpore di una vita vissuta dall’esterno alla consapevolezza di essere protagonisti di quella vita, non semplici spettatori, è il primo – fondamentale - passo per la maturità dell’uomo.
Chi può stabilire se io sia più maturo di un altro? I dettami della civiltà moderna? Le tradizioni? Il perbenismo? No, non credo. Sono i comportamenti di ogni uomo a delineare la sua propria forma di maturità.
La società ci vuole rinchiudere in gabbie di convenzioni e prototipi che ormai ci stanno troppo strette. E prima che la mia voliera esploda, evado verso un albero pieno di rami, pieno di scelte e opportunità.
Con la maturità “tradizionale”, l’uomo spesso perde la voglia di fare scelte e mettersi in discussione. Si arriva ad un punto di stallo, in cui si ha magari un lavoro od una condizione lavorativa abituale, una famiglia (non importa se la si trascura, l’importante è averla), qualche amico per condividere i vizi e i vezzi e stop, la vita è bella che pronta, da consumarsi preferibilmente entro i 35 anni di contributi e poi altri 20 o 30 anni di pensione.
Sono fuori dalla mia età perché rifiuto questa condizione e la rifuggirò il più possibile. Sarà il momento in cui il mio Io entrerà in coma, e vedrò di nuovo passare davanti la mia vita senza accorgermi che sono il protagonista e non uno spettatore. Io ho scelto di scegliere.

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