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mercoledì 15 giugno 2011

CLERKS - Episodio I

Sandro si avvicinò al responsabile del negozio con fare minaccioso. Era rosso di rabbia e il suo respiro pesante e rumoroso accompagnava i passi lenti che lo dividevano dalla sua preda. Era un leone ferito e niente lo avrebbe fermato.
La stecca di legno che teneva rigidamente, puntava il pavimento e vibrava: da li a poco si sarebbe spaccata in mille schegge di tenero abete. La distanza era sempre minore.
Mentre una signora di mezz’età un po’ svampita si allontanava dal responsabile, ancora di spalle rispetto a Sandro, la sbarra di legno si sollevo lenta e inesorabile. L’ora era giunta.
Erano mesi che sognava quel momento, detestava quell’uomo per la sua incoerenza, per la sua ipocrisia, per la sua vanagloria e per avergli fatto fare l’ennesima figura di merda davanti ai superiori. Basta, era stanco.
Rocco, il responsabile del punto vendita, si stava girando col suo solito sorriso ebete stampato sulla faccia da scimmia. La mascella prominente e gli occhi piccoli esprimevano la sua ottusagine, i capelli radi e unti dal gel formavano una grottesca parodia di un ciuffo Pompadour.
Era contento, aveva appena chiuso una vendita incredibile: la cliente voleva una lavatrice economica e lui l’aveva convinta a prendere una lavasciuga su cui aveva un ricarico del 40%: la “Capa” sarebbe stata entusiasta di lui.
E mentre gongolava pensando agli elogi, fantasticando su eventuali ricompense “in natura” della titolare, vide una saetta ocra dirigersi velocemente verso il suo volto neandertaliano. Non ebbe il tempo nemmeno di alzare le mani che lo scontro era avvenuto.
Sandro teneva la stecca con tutte e due le mani. L’impatto disastroso l’aveva sbilanciato, ma non era caduto. Fissava Rocco, prono, privo di sensi, sul pavimento chiaro del negozio. Il respiro si faceva più affannoso, il legno, ormai spezzato e pieno di schegge, tremava ferocemente in attesa del secondo colpo.
Ed arrivò presto. Alla schiena, senza rifletterci. Sandro lanciò quel che restava della bacchetta di abete sulla grossa schiena lardosa che aveva davanti e poi cominciò a prendere a calci nei fianchi e sulla gambe il corpo intontito.
Rocco si riprese lentamente e si girò mentre il sangue sgorgava dalla guancia glabra, ora coperta di schegge. E mentre incassava i colpi di Sandro, sempre più veloci e forti, si coprì il volto è disse con voce stentorea:
“Ragazzo, ma questa lavatrice è in offerta? Ehi, ragazzo lo fate lo sconto?!?!”
“Eeeeeeh? Ma che…?” rispose Sandro, incredulo e frastornato. Che era successo? Dov’era Rocco, il sangue, le schegge…? E che ci faceva là quella vecchietta incartapecorita, col tuppo, vestita a lutto e con una borsa di ecopelle che ci starebbe dentro un maremmano? Ma che cazzo stava succedendo?!

Dopo qualche istante di smarrimento si rese conto di aver sognato ad occhi aperti, Rocco era davanti a lui, ad una decina di metri, e stava andando nel suo ufficio, col solito sorriso ebete, senza sangue ne schegge… nemmeno una!
“Ma stai dormendo? ‘Nciu dicu a Roccu! M’avi a fari u scontu!” Incalzò la vecchietta con temperamento da sergente dei Marines.
“Ehm si…si è in offerta signora. C’è nel volantino.” Rispose Sandro, cercando di prendere tempo, sfogliando un depliant delle offerte della settimana.
Si sentiva uno stupido, un perfetto idiota! Si era sognato tutto, da sveglio, in mezzo al negozio. Chissà che hanno pensato i clienti guardandolo? Quel bastardo di Rocco avrebbe pagato anche questo.

Il rientro a casa fu un sollievo. Uscire da quel negozio di elettrodomestici, dopo una mattinata passata a scaricare merce, assistere clienti ignoranti e fastidiosi e, soprattutto, a sopportare Rocco, era una liberazione. Ma in realtà era solo l’ora d’aria. La pausa pranzo durava solo 2 ore, e non c’era tempo di riprendersi. “Speriamo che il pomeriggio passi velocemente” pensò entrando in casa e salutando la madre.

“Com’è andata oggi?” chiese la madre dopo qualche minuto di silenzio, durante il pranzo. Sandro raccontava sempre qualche richiesta assurda dei clienti o qualche situazione strana, spesso riferita all’inettitudine dei superiori.
“Lasciamo stare, sembra che oggi i pazzi si siano riuniti all’Ipercasa. Pensa che uno oggi mi ha chiesto se avevo una presa a scatti!” disse con aria rassegnata e stanca. L’Ipercasa era il centro commerciale dove lavorava, al reparto elettrodomestici.
“Presa a scatti?! E che è?” chiese la madre divertita e incuriosita.
Sandro sorrise finalmente, e prese e sfogarsi. La madre aveva raggiunto il suo scopo facilmente quel giorno.
“Niente… arriva sto tipo con l’aria da disperso tipo sbarcato ora sulla Terra. Si avvicina e mi chiede se avevo una “presa a scatti”. Non riuscivo a capire che voleva: presa starter, cavetto televisivo, cosa per collegare il sat. L’ha chiamato in tutti i modi. Vai a capire che è sto “sat”!” disse con tono sempre più eccitato. Gli piaceva raccontare questi eventi mettendoci una nota di ironia, rendendoli grotteschi a volte per suscitare più interesse.
“Fattostà che alla fine ho capito che era ‘sta fantomatica “presa starer”: era un cavetto SCART, un semplicissimo cavo scart, capisci?” chiarì tra un boccone di pasta e un sorso d’acqua.
“Poi è arrivato uno più tecnologico, più aggiornato. Questo qua voleva una “porta accaddì”!” continuò con un tono che sembrava dire: ma ti rendi conto che richieste? Ed aggiunse: “Non mi ha chiesto un cavo HDMI, sarebbe troppo difficile, no. Mi ha chiesto una porta accaddì.”
Lasciò la madre ridere per qualche minuto, finendo di mangiare i suoi rigatoni alla norma, raccogliendo la salsa di pomodoro rimasto con una fetta di pane. “Non si può sprecare un sugo così buono” pensò.
“Poi è arrivata una signora, una zitellona di mezz’età, che voleva un computer. Arriva, comincia a dire che non ne capisce niente, che vuole un consiglio, che gli dobbiamo installare i programmi, tutta con aria fashion e provocante. Mi scappavano le risate solo a sentirla parlare. Bhe gli propongo un notebook Toshiba e questa mi risponde <<Ma perché Toschibba fa pure computer?>> Ti rendi conto? E poi comincia ad elogiare Acer solo perché ce l’ha sua nipote. Che me lo pronuncia “Toschibba” e non “Tosciba” vabbhè è un classico ormai.”
La madre di Sandro aveva mollato la forchetta e teneva il bicchiere in mano ma non riusciva a bere per le risate, immaginando le scene che le stava raccontando.
“Si, mica è finita qui” incalzò Sandro “questa doveva fare una finanziaria e quando ho chiamato Rocco per inserirla, lo guardava con aria maliziosa e ammiccava, si passava la lingua sulle labbra così” imitò il gesto con palese esagerazione per suscitare ancora più ilarità “e poi gli fa: <<ci imboschiamo nel suo ufficio, caro? La inseriamo qua la pratica?>> Ma ti rendi conto?” disse scoppiando in una sonora risata, accompagnando quella della madre che era quasi con le lacrime, mentre ancora l’acqua del bicchiere era in attesa di essere bevuta.
“Ma la più bella di tutte è successa quando sono arrivato a lavoro. Ero ancora al telefono con Nina, stavo parcheggiando vicino al negozio. Tiro il freno a mano, saluto Nina e stacco l’auricolare. Mi giro per aprire lo sportello e mi vedo un nasone schiacciato contro il finestrino. Ho fatto un salto che non hai idea!” Mimando un sussulto da spavento, ridendo a quel pensiero.
“E sto tizio mi guardava e mica si spostava? Ho dovuto aprire il finestrino per dirgli se mi faceva scendere, e invece di spostarsi si è messo con la testa dentro la macchina. Poi mi ha messo in mano una busta tutta sgualcita, puzzolente e pure sporca di mollica di pane – spero fosse mollica di pane – e mi fa << me lo dovete cambiare, siete degli imbroglioni, non vegnu chiù ca ‘nti vui>>” imitando il cliente, ingrugnandosi e sfoderando una voce gutturale e un tipico accento dei paesi Aspromontani.
“Al che mi dico di calmarsi, che ancora il negozio è chiuso e che tra qualche minuto apriamo. Gli torno la busta, schifato, e apro lo sportello. Pensi che si spostava? Niente, l’ho dovuto quasi spingere. E poi mi inseguiva, e mi fa: <<E perché ora non me lo puoi cambiare?>>. Tu lo sai che quando mi fanno incazzare prima che mi sveglio completamente poi sono intrattabile. Mi sono girato e gli ho chiesto che lavoro facesse. Questo mi dice che è un allevatore e vende ricotte e formaggi. E io subito gli ho risposto: << E vendetemi ‘na pezzotta di pecurinu, ora! Subito!>>” gesticolando come aveva  fatto la mattina, puntando il medio verso il basso, intimando impazienza.
“Oh, ma’! E’ rimasto di merda! Poi mi dice: <<Eh ma ora non posso!>> e io gli rispondo <<E manco io, arrivederci>>. Sono entrato nel negozio, che c’erano ancora le serrande mezze abbassate e l’ho lasciato la.
Poi quando hanno alzato le serrande questo è entrato ed è andato dritto da Peppe, quando mi ha visto ha cambiato strada. Poi Peppe mi ha detto che aveva una zanzariera elettrica nella busta e pensava che fosse una “stufa endogena” – non alogena, non confondiamoci - ,  che non riscaldava e quindi era rotta.”
Il pranzo continuò così, tra i racconti di Sandro, le risate della madre, il sottofondo del TG2, sotto gli occhi incantati di Fuffi, il loro persiano, che aspettava silenzioso il suo pasto.

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